NOIA (racconto erotico di P.)

 



    Quegli incontri periodici, cerimoniali, iniziava con qualche chiacchiera di circostanza - giusto per provare ad eludere l’imbarazzo -  ed iniziare l’amplesso cerebralmente. Svolazzavano parole pregne di Jägermeister sul caos della città, sulla metro maledetta, sul lavoro che è noia, sulla provincia che ti soffoca, sul capo rompipalle.

    Da quando Sandro si era trasferito a Roma, il sesso con Francesca era diventato un rito. Niente coppia, niente legami: nessuno avrebbe saputo. La consuetudine era di andare a trovarla il venerdì sera, incendiando un sesso frenetico quanto soddisfacente per entrambi, mai sconfinato nella liturgia, nell’ordinario - da cui entrambi, per natura, rifuggivano.  Ed era forse questa libertà di fondo a rendere più erotica la circostanza, nata da un ritrovarsi casuale e degenerata – come i due si ripetevano vicendevolmente, sorridendo all’idea. La prima volta si erano sentiti al telefono, riscoperti, corteggiati, assaggiati al Gran Caffè e – finalmente - scopati.

    Nelle chiacchiere preliminari di rito, spesso uno sguardo di Sandro finiva sulle gambe di lei: senza farsene accorgere, cercava di sbirciarle lo slip. Francesca godeva della circostanza, e finalmente finì per aprire le gambe con aria distratta, proseguendo con tranquillità un bel discorsetto sulle comari del paesino. Quel feeling si fondava su un’attrazione implicita mai confessata, celata nella convenzione, “siamo solo amici” - oltre che su un ossequioso omaggio verso una bella donna, ed un’ammirazione intrigante per un uomo che sapeva farti pendere dalle sue labbra. Un sessantanove di piacere reciproco, sublimato all’estremo e degenerato per inerzia in intense e ripetute dispersioni di liquido seminale.

    Quel gioco erotico era irresistibile: nel disordine di quella stanza in affitto iniziavano a palparsi e spogliarsi, e poi l’uno obbligava l’altra – e, non di rado, viceversa - a raccontare la perversione segreta più sporca, la più inconfessabile. Usciva fuori di tutto: fantasie verso persone più grandi anche di 30 anni, foto ai genitali inviate in chat, dry hump (Sandro aveva confessato di allenarsi in palestra per praticarlo al meglio: non è da tutti masturbare la partner facendole tenere i vestiti addosso, e Francesca se lo fece fare personalmente più volte), della masturbazione consumata in webcam con l’altro a gustarsi la scena (e naturalmente con l’imposizione di guardare e non toccare). E poi si faceva sesso: minuti di amplesso che sembravano eterni, corpi bramosi che si penetravano, mentre le bocche proseguivano la confessione di rispettive perversioni. Quegli ennesimi, ansimati, amplessi inesorabili, erano consumati con la finestra aperta, urlando piacere senza inibizioni. L’avevano sempre voluto, in fondo.
 


Come qualsiasi rapporto, anche questo avrebbe presto cambiato forma: era obbligato ad evolvere in qualcosa di Superiore. Nei successivi incontri ebbe la meglio Francesca: divenne una dominatrice di prim’ordine, sadica, possessiva ed artefice dei più espliciti tease & denial mai concepiti. “Fatti una sega”. I suoi cock control puntavano sulla più eccitante umiliazione di Francesco: lo stesso che aveva ammirato per quella favella così intelligente, e che ora obbligava a masturbarsi senza toccarla, guardandola e basta. E si tenevano a distanza: lui per terra mezzo nudo, lei seduta sul divano a gambe spalancate - e con lo stesso tubino che aveva indossato la sera del primo incontro. Con quello stesso slip addosso, tanto agognato. Una frase rituale echeggiava in quelle mura condivise in affitto, incuranti del fatto che qualcuno potesse sentirli: “non sporcare il tappeto”. 


Francesco veniva su di sé, e poi si stendeva su quel tappeto candido fissando il vuoto; Francesca finalmente si dedicava a se stessa con calda intensità, ma solo per qualche minuto. Senza toccarsi, guardandosi e basta; poco più di due sex-tape trafugati da internet.